sabato 26 febbraio 2011
martedì 15 febbraio 2011
Planetary e Wasteland. F3 consiglia....
"It's a strange world. Let's keep it that way."
"Good morning, Doctor Dowling. From here, things will only get worse."
(Elijah Snow)
Ultima fermata per gli Archeologi dell'impossibile in un volume che raccoglie le storie conclusive di una delle migliori serie di fantascienza a fumetti degli ultimi anni.
Nel lontano 1998 cominciava un viaggio di quasi undici anni nel mondo della fantascienza a fumetti, e non solo, ad opera di Warren Ellis, uno degli autori più capaci in circolazione e probabilmente l'unico in grado di trascendere, in corso d'opera, le pur buone premesse. Planetary, la serie in questione, si conclude sul mercato americano solo nel 2009, dopo varie traversie e ben quattro premi Eisner, proprio col volume: Planetary: archeologia spaziotemporale, uscito in Italia alla fine del 2010.
Interrotta per quasi tre anni a causa delle scarse condizioni di salute dell'autore e condizionata dai molteplici impegni e dai tempi biblici del disegnatore John Cassaday, invece di perdere mordente la serie ha acquisito sempre maggiore profondità e spessore, rendendo ogni numero un'opera d'arte a se stante ed allo stesso tempo un tassello in una meravigliosa quanto ambiziosa struttura. Planetary invecchia come il buon vino e non delude nemmeno nel gran finale dove di solito miniserie analoghe possono facilmente cadere o lasciare in sospeso i dilemmi protratti dalle pagine iniziali, tutti i nodi vengono al pettine nell'universo di Ellis con un dettaglio ed un gusto per il particolare che hanno dell'incredibile. Nato come un fumetto non inerente in forma diretta ai supereroi ma al genere supereroistico in generale, fin da subito Planetary allarga le premesse per incamerare, reinterpretandola con eleganza, quasi un secolo di letteratura e narrazione fantastica. Il pulp anni '20 di Doc Savage e Tarzan viene mischiato agli esperimenti nucleari tipici dei più reconditi terrori della Guerra Fredda, a Sherlock Holmes, alle navi spaziali senzienti, alla teoria delle superstringhe, ai sistemi di stoccaggio dati spirituali e ad innumerevoli altri elementi più o meno conosciuti tipici dell'immaginario che dal '900 arriva ai giorni nostri. Fattori che striderebbero in contatto l'uno con l'altro si amalgamano perfettamente nell'opera di Ellis creando per il lettore curiosità ben oltre i confini del genere fumettistico ma non tralasciandone comunque i capisaldi ed i personaggi chiave. Abbiamo in effetti una rivisitazione dei Fantastici Quattro, di Superman, Lanterna Verde, Wonder Woman, di ognuna delle colonne portanti del fumetto di supereroi sia come personaggi ben definiti e funzionali alla storia sia, in alcuni casi, come esempi di archetipi narrativi. L'autore scozzese riesce a creare un'ottica dove almeno due o tre diversi livelli narrativi si possono incontrare senza però andare a scapito l'uno dell'altro ma rimanendo fruibili nella loro unicità. E' proprio la fantascienza che viene utilizzata da Ellis come arco di volta di questo disegno così complesso, come elemento chiave che possa reggere le fila del discorso e fungere da vettore alla narrazione rendendo il complesso fluido e organico, trasformando quest'opera in una delle migliori del decennio.
Nelle ultime pagine di Planetary vediamo la guerra silenziosa fra Snow ed i Quattro Viaggiatori subire un'escalation e diventare aperta in un susseguirsi di mosse che metteranno in campo tutte le risorse accumulate da entrambe le parti per poco meno di un secolo. Elijah dovrà testare la fiducia dei suoi nuovi alleati o presunti tali, come Anna Hark e John Stone, ma soprattutto dovrà trovare il modo per vincere senza mettersi sullo stesso piano di chi vuol sconfiggere. Una serie di colpi di scena fulminanti sveleranno importanti particolari sul passato dei protagonisti e specialmente su qualcuno che apparirà come un fantasma dall'oltretomba per far capire ad Elijah Snow quale potrebbe essere il suo scopo nel grande disegno delle cose. Un "Finale" col doppio botto chiude la scena portando il lettore a pregare di avere qualche altra pagina di fumetto ma al contempo rendendolo felice che si sia chiuso in questo modo.
Splendide come sempre le matite in stile art nouveau di Cassaday, curate maniacalmente nei minimi dettagli e perfette per la narrazione. Espressioni, ambienti, chiaroscuri e composizione delle tavole sembrano annullare il reale attorno allo spettatore per catapultarlo direttamente sulle strade del mondo misterioso creato da Warren Ellis. John Cassaday è una di quelle poche persone che riesce a mettere su carta le meraviglie più fantastiche definendole alla perfezione ma, al contempo, lasciando alla fantasia del lettore lo spazio per partecipare nel processo di creazione. Una nota di merito deve andare anche alla inchiostratrice Laura Martin per il lavoro maniacale svolto sulle tavole di Cassaday donando spessore e realismo ad un'opera che già partiva con standard elevatissimi.
Wasteland: l'ombra di Dio
Un secolo dopo la catastrofe che ha sconvolto il nostro pianeta rendendolo una landa disseccata costeggiata da oceani avvelenati, uno strano viandante si muove fra le ultime vestigia della civiltà portando con se troppi segreti ed infausti eventi.
Per più di trent'anni il filone post-apocalittico della fantascienza ha continuato ad attirare l'attenzione del pubblico e quella degli autori dando vita ad opere più o meno memorabili sia in campo letterario che cinematografico che fumettistico. Film come Mad Max, alla fine degli anni '70, manga e serie animate come Hokuto no Ken, verso la metà degli anni '80, o come gli splendidi Nausicaa di Hayao Miyazaki e il Legend of Mother Sarah, per non parlare di Akira, nati dalla penna di Katsuhiro Otomo, sono riusciti a travalicare l'interesse di appassionati ed addetti ai lavori per diventare pietre miliari dell'immaginario collettivo. E' quindi difficile, al giorno d'oggi, riuscire ad aggiungere qualcosa di nuovo al genere o anche solo accostarvisi senza evocare un'atmosfera di déjà-vu a priori letale per la buona riuscita di una qualsiasi opera.
Lo scrittore inglese Antony Johnston non si è dato per vinto e nel 2006 ha debuttato in America con una serie che avrebbe tentato, almeno nella dichiarazione dell'autore, di toccare le tematiche classiche del genere portandole verso nuovi ed inaspettati sviluppi. E' così nata Wasteland, pubblicata dalla casa editrice Oni Press e portata in Italia dalla ReNoir Comics che ha appena presentato, in occasione di Lucca Comics, il secondo volume: Wasteland: l'ombra di Dio. Se nel primo volume della serie ancora non era del tutto chiaro che cosa l'opera avrebbe potuto contenere di innovativo o almeno di non troppo scontato, in questo volume le intenzioni di Johnston cominciano a rivelare l'ombra di un disegno particolare, ancora però un pò troppo sfocato ed evanescente.
Dopo la distruzione della cittadina di Providence uno strano gruppo di sopravvissuti guidati dal misterioso Michael, straniero senza memoria ma dotato di peculiari facoltà, e da Abi, lo sceriffo di Providence che sembra avere qualcosa in comune con lo stesso Michael, arrivano stremati ed in fin di vita a New Begins, considerata una grande città e un baluardo di civiltà rispetto alle selvagge e letali terre che la circondano. Quella che avrebbe potuto essere la Terra Promessa si rivela però una trappola non meno pericolosa di quanto le sta attorno, con diverse fazioni in lotta fra loro e guidata dall'insondabile e pazzo Marcus, il cieco ma sempre giovane fondatore di New Begins. Deciso a mantenere salda la sua presa sulla città ed a favorire lo sviluppo del culto della propria persona in contrapposizione a quello dei Solari, Marcus rivolgerà la propria attenzione in particolare su Michael ed Abi, legati a lui da trame misteriose, ed inconsapevoli catalizzatori per i terribili eventi che cominciano a profilarsi all'orizzonte.
La narrazione di Johnston non perde un colpo e si muove come una macchina ben oliata guidando il lettore in un mondo crudele ed ormai distrutto che si dibatte negli ultimi ansiti di vita prima della fine. Non ci sono lieti fine, non ci sono sconti sul destino ma solo la crudele volontà di ognuno di sopravvivere che spesso e volentieri calpesta anche la più piccola parvenza di dignità o di calore umano. Nulla di nuovo fino a qui e nulla di nuovo nella caratterizzazione dei personaggi principali come eroi riluttanti che si trovano invischiati in eventi più grandi di loro e che solo dopo errori e costosi sbagli si ritrovano volenti o nolenti a fare la cosa giusta. Vari destini misteriosi si intrecciano sullo sfondo della mitica città di A-Ree-Yass-I, una terra promessa da cui è partita la distruzione del nostro pianeta e che potrebbe contenere le chiavi per la sua salvezza. Un buono sfondo, una buona struttura, una scrittura ben calibrata ma ancora solo l'accenno di particolari che potrebbero traghettare la serie fuori dalla palude rappresentata dai suoi illustri predecessori, mantenendo quanto promesso dall'autore in apertura in termini di innovazione. Particolari di esperimenti genetici, di ragazzi con strani poteri, accenni alla tecnologia pre-cataclisma sono in effetti sufficienti a solleticare l'interesse del lettore, ma piuttosto lontani da soddisfarlo in pieno o stupirlo, o da portarlo a pensare di potersi aspettare un qualche sviluppo veramente coinvolgente ed inaspettato da una trama che ha nella prevedibilità uno dei suoi difetti peggiori. Wasteland non sta ancora affondando nella palude di quanto l'ha preceduta ma se tiene fuori la testa allora la sta tenendo fuori per un soffio, in attesa di uno sforzo maggiore da parte di un bravo e dotato scrittore che non può e non deve ritenersi appagato nel sedersi sulla montagna di materiale dal quale può attingere.
Ottimi i disegni di Christopher Mitten e molto adeguati al bianco e nero della serie ma un pò troppo legati ad uno stile orientale, tipico dei manga, che contribuisce ancora di più ad evocare gli spettri narrativi da cui ci si vuole e deve a tutti i costi discostare per arrivare ad una perfetta riuscita dell'opera. Tratto curato, personaggi ben delineati e discreto occhio ai dettagli sono elementi che di base potrebbero caratterizzare un eccezionale disegnatore, forse ancora un pò troppo anonimo e con uno stile personale non pienamente sviluppato.
In ogni caso, ci troviamo davanti a una buona lettura, tappa obbligata per gli appassionati del genere post-apocalittico, ed interessante per coloro che cercano un punto di partenza verso una storia in grado di contenere le potenzialità, ancora non appieno sfruttate, per diventare memorabile.
Ivan Lusettivenerdì 11 febbraio 2011
I° CONCORSO PER FUMETTISTI ESORDIENTI: “WANNABE CARTOONIST”
Amici Artisti,
dal 9 all’11 Settembre 2011 si terrà per la prima volta a Catania, negli spazi del complesso
fieristico “ Le Ciminiere”, la mostra-mercato ETNA COMICS™ che metterà insieme tutte le principali manifestazioni in cui oggi si esprime e comunica il mondo del comics&games (fumetto, gioco di ruolo, cosplay, videogioco etc….). Naturalmente ci è sembrato più che opportuno inserire, quale evento principe, un concorso pensato per i giovani disegnatori di fumetti e specificamente dedicato alle tematiche della Fantascienza, del Fantasy e del Fantastico. I partecipanti dovranno far pervenire le loro opere entro il 30 Giugno 2011 all’indirizzo: contest@etnacomics.com
I tre lavori che saranno considerati i più originali verranno premiati con la pubblicazione nel numero speciale che la casa editrice della rivista siciliana di fumetti FUMETTI AL CUBO realizzerà in occasione dell'evento e, ovviamente, saranno “messi in rete” nei siti internet ufficiali:
www.etnacomics.com – www.fumettialcubo.com
Requisiti minimi tecnici:
Ogni fumetto dovrà raccontare una storia autoconclusiva di 4 tavole in bianco-nero. Procedura di invio: file immagine con risoluzione 72 dpi, in bianco nero o scala di grigi, formato jpeg.
Ai fumettisti prescelti saranno fornite le istruzioni per l’invio del file definitivo e della liberatoria che ne autorizzi la pubblicazione. Tranquilli: non verrà richiesto nessun contributo o tassa o qualsivoglia balzello per la partecipazione al concorso; tutti i diritti dell’opera rimarranno di esclusiva proprietà dell’autore.
Per scaricare il pdf del bando di concorso clicca quì.
Buon lavoro e a presto.
giovedì 10 febbraio 2011
La Metamorfosi degli animali sconosciuti in bestie favolose
di Bernard Heuvelmans
Si racconta che, stanco di veder comparire ogni giorno nel suo menù carne di manzo, costolette di agnello o prosciutto, Luigi XVI implorasse un giorno il cielo con queste parole : "Oh Dio, donatemi un animale nuovo!".
Forse è solo una leggenda, ma sicuramente per secoli è stata questa la preghiera più sentita di ogni zoologo desideroso di veder associare il suo nome alla scoperta di un animale ancora sconosciuto e diventare quindi immortale tutt' a un tratto.
Quando si evoca la scoperta di animali "nuovi" o "sconosciuti" è, beninteso, solo un modo di dire. Bisognerebbe dire piuttosto "nuovi per il mondo occidentale" o "sconosciuti dai nostri scienziati". I soli animali veramente "nuovi" sarebbero i rappresentanti di specie apparse nei nostri giorni sotto l' effetto dell' evoluzione incessante degli esseri viventi. (Si parla spesso di animali "preistorici", ma in verità ci troveremmo molto a disagio nel citare una sola specie tra i vertebrati almeno che non sia preistorica, che insomma non sia nata prima dell' inizio della storia).
Pochi animali sono veramente sconosciuti all' Uomo : in generale, in ogni contrada del mondo, gli indigeni conoscono tutta la fauna che divide con loro l' ambiente. E nel cuore di ciascuna cultura, i sapienti e gli eruditi hanno sempre steso l' inventario più completo possibile degli animali della regione.
Il "Tapiro della gualdrappa" indiano, descritto soltanto nel 1816 dagli zoologi occidentali sotto il nome scientifico di Tapirus indicus, figurava già duemila anni prima nelle enciclopedie cinesi con il nome di Mé; e il Panda gigante, scoperto nel 1869 nel Sseu-Tch'ouan dal padre Armand David, sembra essere stato già menzionato nel 621 in un manoscritto dell' epoca T'ang sotto il nome di Bei-shung (orso bianco).
Il Gorilla, di cui il mondo atlantico non ha voluto ammettere l' esistenza che nel 1847, aveva già da lungo tempo un nome in tutti gli idiomi dell' Africa centrale ed occidentale ed era anche stato descritto con cura agli inizi del XVII secolo dall' avventuriero inglese Andrew Battel. Quando nel 1850 Brian H. Hodgson portò indietro dalla regione dell' Himalayana delle pelli e dei crani di una specie di montone grande come un bue, che denominò Budorcas taxicolor, non fece altro che far conoscere in Occidente l' animale che i Mishmi dell' Assam chiamavano Takin.
Fu nel 1878 che l' impero britannico apprese l' esistenza in Kenia di una stupefacente gazzella con il collo di giraffa che in seguito ricevette il nome di Litocranius walleri, ma sul posto l' avevano sempre chiamata Gerenak, e, nell' antichità, era non solo stata raffigurata su grossolani graffiti rupestri della riva orientale del Nilo che datano da tre a quattromila anni, ma anche su dei bassorilievi realistici risalenti al regno di Ramsete II (XIII secolo a.C.).
Nel 1900 si Harry H. Johnston, governatore dell' Uganda, rivelava al mondo stupefatto la sopravvivenza, nelle foreste dell' Ituri, di un antenato della giraffa risalente al Miocene (da 15 a 35 milioni di anni fa), ma l' animale era ben noto, sotto il nome di Okapi, ai pigmei Wa-mbuti, che non disdegnavano talvolta di mangiarne la carne.
l Pavone del Congo, scoperto tra lo stupore generale degli ornitologi nel 1936, tra le collezioni del Museo del Congo Belga, a Tervuran, era una preda di caccia tradizionale che i Bakumu chiamavano Itundu, e i Wa-Bali, Ngowé. Anche il più celebre dei fossili viventi del nostro tempo, il Celecanto, descritto nel 1939 dal Professor J.L.B. Smith, non era una novità per i pescatori delle Comore, che talvolta lo pigliavano nelle loro reti, e lo denominavano un tempo M'tsamboidoi, prima di chiamarlo più comunemente Kombessa : essi si servivano persino delle squame spinose di questo pesce "a zampe", risalente a più di 300 milioni di anni, per grattare la camera d' aria bucata dei pneumatici delle loro biciclette prima di incollarvi una toppa di caucciù.
Bisogna dire che gli animali terrestri, ben più facili da osservare, e di cui si continuano a scoprire delle specie nuove qua e là attraverso il mondo, sono sempre noti alle popolazioni che vivono in loro prossimità.
Il gran pecari fossile Catogonus, ritrovato ben vivo in Paraguay nel 1975, era stato debitamente battezzato con il nome di Tagua dagli indiani del Gran Chaco che lo cacciavano per la sua carne. Quando io stesso nel 1969 ho provato la sopravvivenza nella nostra epoca di popolazioni residue di Neanderthaliani, basandomi sullo studio minuzioso di un esemplare congelato recentemente ucciso in Vietnam, il nome scientifico di Homo Neanderthaliensis pongoides che ho dato a questi paleoantropi estremamente specializzati, non è stata in realtà che una ulteriore denominazione aggiunta a tante altre.
La mia scoperta era in effetti il risultato di una inchiesta sistematica che aveva consentito di stabilire che simili uomini selvaggi e pelosi erano noti da un capo all' altro dell' Asia - dal Caucaso allo stretto di Bering e alla penisola Malacca - e denominati dappertutto con un nome specifico dalle popolazioni locali.
Le sole regioni del mondo in cui possono vivere degli esseri totalmente sconosciuti, sono di fatto quelle non abitate dall' uomo perché inabitabili o impossibili quasi da attraversare, o addirittura da penetrare, insomma delle immensità aride di ghiaccio, di rocce o di sabbia, alcune cime inviolate di montagne, e, beninteso, le profondità degli oceani.
Detto ciò, in antitesi, bisogna confessare che nessun animale ci è perfettamente noto.
Sull' esistenza segreta di quelli che sono notturni o scavatori, desertici o acquatici, o anche abitanti delle vasta foresta equatoriale in parte inondata, noi non possiamo sapere gran cosa.
A dire il vero esistono ancora delle zone d' ombra o delle serie lacune nella nostra conoscenza degli animali più facili da osservare. Anche i nostri animali domestici conservano qualcosa del loro mistero: noi non sappiamo ancora, al di fuori di ogni dubbio, come il gatto faccia le fusa!
Il filosofo francese della scienza Léon Brunschvieg diceva un tempo : "I primitivi vogliono spiegare tutto, mentre gli evoluti ammettono le loro lacune". Questa distinzione tra il pensiero del "selvaggio" e quello del "civilizzato" appare artificiale. Che lo si voglia o no, l' Ignoto incute terrore all' uno e all' altro.
Se, per vincerli, il primitivo ricorre a dei miti esplicativi, lo scienziato occidentale riempie le lacune del suo sapere costruendo delle ipotesi. E non c'è molta differenza.
Il pensiero mitico mi sembra sempre più un adattamento evolutivo destinato a premunire i rappresentanti della nostra specie contro i traumi legati a delle esperienze nuove, tanto più angoscianti, quindi, perché mai affrontate prima. Sembra che quando le informazioni ricevute dal mondo esterno attraversano quella parte del sistema nervoso centrale che talvolta viene denominato "cervello emozionale", esse vanno ad immagazzinarsi nelle stesse categorie, ad allinearsi sugli stessi processi mentali stereotipati e a deformarsi negli stessi stampi dello spirito in cui si sviluppano personaggi e intrecci delle nostre mitologie, delle nostre epopee o dei nostri racconti di comari.
Si fa, in genere, una distinzione più o meno netta tra i Miti, ritenuti essenzialmente religiosi, le Leggende o saghe eroiche, e il Folklore, e cioè l' insieme delle credenze, dei detti e dei riti popolari.
Queste diverse facce di un trittico in cui si riflettono di fatto le concezioni del mondo del mistico, del poeta e dell' uomo del popolo, sono strutturate conformemente a delle leggi identiche, di sorta che i maestosi cicli delle forze divinizzanti della natura, le peripezie fantastiche della vita degli eroi ed i semplici racconti di fate o addirittura le volgari storielle umoristiche, si rivelano costruite su un solo medesimo modello.
A causa della somiglianza del loro processo di mitizzazione, le multiple vicissitudini della nostra insignificante esistenza individuale - l' esperienza dolorosa della nascita, l' espulsione dal seno materno, l' ostilità glaciale del mondo esterno, la privazione momentanea delle primordiali voluttà alimentari, la passione divorante, ma ostacolata, per la madre, la rivalità con il padre, questo guastafeste della poppata, e poi, ben presto, la rivalità con i fratelli e le sorelle, i sentimenti di abbandono, le prime solitudini e, più tardi, i desideri sessuali inappagati, i combattimenti e le sconfitte, gli scacchi e le umiliazioni, gli abbandoni e i tradimenti, i divorzi e i lutti e la morte stessa - tutte queste disavventure quotidiane sembrano susseguirsi secondo una sceneggiatura eterna, quella delle tradizioni cosmiche, storiche o poetiche.
Così ci sembrano, di primo acchito, le cose più naturali del mondo: non sono più dei drammi imprevedibili e terrificanti che sorgono senza preavviso dalle tenebre per prenderci alla gola e succhiarci il sangue, quasi come sotto l' effetto di una cospirazione di forze diaboliche che si accaniscono per distruggerci.
Se l' immaginazione merita il nomignolo di "matto della casa", che dobbiamo a Malebranche, la sua follia è tuttavia del tipo paranoico, perché è un delirio rigorosamente sistematizzato.
Le leggi rigide e coartanti dell' immaginario sono manifestamente legate all' architettura del nostro cervello. Sono loro che hanno condizionato tra l' altro la nascita del linguaggio, cioè l' associazione per nulla gratuita - ma fondata su delle somiglianze, delle corrispondenze o dei parallelismi - dei fonemi scelti e dei vari oggetti, sensazioni, sentimenti ed azioni che costituiscono il nostro Universo.
Sono ancora loro che contribuiscono a completare la nostra conoscenza e la nostra comprensione dei fenomeni naturali, ed in particolare quella degli animali di ogni tipo.
Meno sappiamo di essi, più la descrizione della loro anatomia, della loro vita e dei loro costumi va ad ispirarsi ai processi di questo pensiero, più associativo che realmente creativo - ed in ogni caso prelogico ed irrazionale - e più dunque essa apparirà farcita di aspetti fantastici al momento in cui la nostra scienza inizierà ad interessarsi ad essi.
Quando le circostanze ci conducono in presenza di un essere del tutto sconosciuto o raro, almeno ai nostri occhi - sia che abbia lasciato dolente o nolente il suo habitat naturale, sia che per qualche ragione noi vi siamo penetrati - questo incontro ci sembrerà così meraviglioso, perché inconsueto, che avremo la tendenza a vedervi un segno o forse un presagio.
E' per questo che abbiamo l' abitudine a chiamare questo tipo di animali "mostri" perché, come diceva Cicerone, "mostrano l' avvenire o quello che è nascosto" (Monstra appellantur quia monstrant).
E non ci accontentiamo di dar loro questo nome ambiguo: noi plasmiamo, deformiamo e adulteriamo quello che siamo riusciti a vedere di loro ed estrapoliamo, con un incosciente partito preso, quello che non abbiamo potuto vedere, in modo tale da farli entrare il più facilmente possibile in una struttura familiare al nostro pensiero mitico, in quello che C.G. Jung ha chiamato un "archetipo".
Se l' animale insolito, contemplato a piacimento dopo essersi arenato su di una spiaggia, o appena intravisto nel fitto di un bosco, ci sembra enorme, in grado di inghiottirci, e quindi terrificante, noi lo descriveremo necessariamente come una specie di drago.
Se per caso non ha che un corno sulla fronte o sul naso o magari un semplice ammasso do peli, di piume o di scaglie piazzato lì, noi, beninteso, lo trasformeremo in un unicorno.
Se ha un aspetto umanoide senza essere un uomo e se abita nei campi o nei boschi senza l' ausilio della più semplice tecnologia e soprattutto se è molto più peloso del normale, lo prenderemo per un uomo selvaggio.
Se apparirà in piena notte, smorto, sepolcrale, quasi fantomatico, senza dubbio ci sembrerà un vampiro alla ricerca di una preda da sgozzare per poi pascersi del suo sangue fresco, caldo e rigeneratore.
Se l' animale, umanoide, si presenta gigantesco, affamato e minaccioso, lo chiameremo orco.
Se al contrario apparirà minuscolo e pauroso vedremo in lui un rappresentante del popolo dei folletti, paria in miniatura fatti a nostra immagine e somiglianza, pronti ad aiutarci in cambio di piccoli regali, ma certamente condannati, dato che li si vede così di rado, a nascondersi nelle viscere della terra.
Se l' animale straordinario ci si è mostrato fugacemente sulla nera superficie delle acque di un lago è perché, penseremo, deve essere il guardiano di qualche tesoro inghiottito, un tipo particolare di drago : il mostro lacustre.
Se è un uccello molto grande la cui silhouette si staglia su un cielo crepuscolare, dandoci un brivido alla schiena, gli attribuiremo intenzioni aggressive e rapaci, assimilandolo, anche controvoglia al Grifone dell' antichità classica o all' Uccello-Roc dei racconti arabi.
Se ha un piumaggio multicolore, iridescente e fastoso, penseremo sicuramente alla Fenice, il più bello degli abitatori di questo mondo. Me è certamente soprattutto in mare o sulle rive che i "mostri", abbondano, perché degli animali marini non si arriva a percepire che quel po’ che si intravede nel tempo di un lampo, quando il sipario delle onde si chiude fuggevolmente: ecco che l' immaginazione ha modo di fare la parte del leone!
Se la bestia è lunga e sottile - che è poi la forma che le più grandi creature acquatiche finiscono per assumere per delle ragioni esclusivamente meccaniche - ci si affannerà a proclamare di aver visto il Gran serpente marino, il Leviathan della Bibbia.
Se avrà lasciato fuoriuscire dall' onda degli enormi tentacoli, si impallidirà pensando al Kraken, l'animale-isola tentacolare delle leggende nordiche o al Polpo gigantesco, capace di afferrare interi navigli colandoli a picco, terrore dei marinai desiderosi, in altri tempi, di andare alla conquista del mondo.
E se la creatura acquatica ha una forma, anche se grossolanamente umana, ne faremo immancabilmente un uomo marino o preferibilmente una donna marina, una sirena. La nostra immaginazione abbellirà i suoi lineamenti fino ad attribuirle una irresistibile capacità di seduzione : ma cercheremo comunque di sfuggirle perché nello stesso tempo le avremo anche attribuito degli appetiti cannibali.
Come avviene dunque che, dappertutto nel mondo, gli uomini, quale che sia la loro razza o la loro cultura, abbiano sempre inventato le stesse creature favolose, agghindate con gli stessi attributi ed aureolate della medesima reputazione?
Si è ritenuto per molto tempo che queste leggende si siano potute trasmettere tramite scambi culturali.
Ma a forza di dover spingere indietro nel tempo l' epoca della loro presunta disseminazione, fino ad arrivare agli albori stessi dell' umanità, è stato necessario arrendersi all' evidenza: esse affondano in realtà le loro radici nelle nostre stesse profondità, in quello che Jung ha chiamato "l' inconscio collettivo".
E quest' ultimo senza dubbio non è, come abbiamo suggerito poco sopra, che un adattamento specifico, geneticamente programmato, destinato a proteggerci contro i traumi psichici che potrebbero nascere da esperienze inusuali e scioccanti, esattamente come le difese naturali dell' organismo contro ogni tipo di aggressioni alle quali è soggetto. In quelli che chiamiamo "mostri" si riflettono infatti tutti i nostri problemi psichici fondamentali.
Il Drago occidentale è la personificazione del Male, di tutto ciò che dobbiamo combattere per vivere con dignità. L' Unicorno, simbolo fallico, è l' immagine della virilità aggressiva della potenza maschile che può essere vinta, però, da ciò che la debole donna ha di più puro, di più ingenuo, di più subdolo anche, e in definitiva di più efficace.
La Sirena è invece piuttosto l' immagine della madre avvolgente ma divoratrice, della Femme Fatale, della Vamp, di cui l' uomo è l' eterna vittima. L' Amazzone rientra un po’ nello stesso schema, ma su di un piano sociale: non si accontenta di sedurre l' uomo per poi divorarlo; essa lo violenta, poi lo castra e lo fa suo schiavo, non appena ha espletato il suo ruolo di stallone.
L' Uomo selvaggio, il Satiro, ha un ruolo duplice: serve da una parte da pattumiera, da contraltare per l' uomo civile, per tutto quello che gli resta di bestiale, di incivile, di ripugnante; dall' altro lato è invece l' immagine idilliaca e nostalgica del Paradiso perduto dell' animalità naturale non costretta al lavoro e non colpevolizzata dallo schiacciante senso del peccato. L' Orco, maschio e femmina, e i giganti antropofagi sono una visione terrificante del mondo dei genitori, degli adulti, percepito attraverso l' occhio del bambino.
Quanto al Piccolo popolo, quello degli gnomi e dei folletti, non è che il contrario del medesimo mito, una trasposizione dell' universo dei bambini isolati dalla loro dimensione, incompresi, respinti in una sfera inferiore ed obbligati a fare dei piaceri agli adulti per assicurarsi la loro protezione ed i loro favori. Il Babau vorace, la bestia che divora il mondo ha, come molti altri mostri, una funzione ambivalente : rappresenta da una parte la paura di essere ingoiato, ucciso, annientato; dall' altra il desiderio nostalgico per eccellenza di ritornare nella calda sicurezza del ventre materno.
Il Mostro lacustre, nascosto sotto acque impenetrabili allo sguardo, è l' immagine di ciò che c'è di perverso, d' inconfessabile, d' indicibile al fondo della nostra coscienza, di tutto quello che è più profondamente tenuto segreto nel nostro cuore. Il Serpente di mare è il simbolo, e quanto trasparente!, del Diavolo, del Principe delle tenebre, magari di quello che un tempo si chiamava "la paura dell' ignoto", e cioè l' immensità dell' oceano situato al di là dell' orizzonte, che si riteneva che fosse per eccellenza la sede delle potenze del Male.
Come il Mostro tentacolare, che sale dagli abissi, rappresenta i pericoli che ci minacciano dal disotto (dall' interno! I nostri conflitti interiori insomma); così l' Uccello rapitore è l' immagine di coloro che ci controllano dall' alto (il Demiurgo, l' autorità morale che ci giudica ed in caso di errore ci punisce). La Fenice, ambasciatrice di universo meraviglioso o lontano, che rinasce perpetuamente dalle sue ceneri, ricorda l' Eden perduto, il paese in cui la morte non esisteva, ed il suo esempio ci fa intravedere la possibilità in un ritorno a quella Età dell' Oro.
Quanto poi al Vampiro, se evoca ugualmente desideri di immortalità, serve a ricordarci la maledizione che lo accompagna come un' ombra. Insomma ci sono dei miti per tutte le età, di tutti i sessi e gusti particolari. Ecco perché ci attirano, ci seducono, ci turbano, ci accattivano, ci illuminano, seppure di una luce scura, e in definitiva ci rassicurano o ci consolano.
Non c'è da meravigliarsi che noi siamo così avidi di mostri e creature fantastiche, al cinema come in letteratura. Per paradossale che sembri, i mostri favolosi sono senza dubbio, tra tutti gli animali, quelli a noi più vicini, i più strettamente legati alla nostra vita intima. Il cane, il gatto, il cavallo e qualche altro animale vivono al nostro fianco; le bestie leggendarie vivono in noi.
E' alla superficie delle onde del nostro inconscio che folleggiano sirene, kraken e serpenti di mare; è nelle foreste che ombreggiano le sue rive che si nascondono unicorni e draghi, satiri ed amazzoni, orchi e folletti, lupi mannari e vampiri. Ed è il cielo dei nostri sogni che attraversano a volo spiegato il formidabile uccello Roc, rapitore di elefanti, e la Fenice che eternamente torna al suo paradiso natale.
E' un fatto che ci riguarda tutti.
Ecco la ragione profonda per la quale siamo così portati, e con che impazienza! A far indossare la divisa di bestie favolose ad animali di carne e sangue, talvolta dei più prosaici : d' altronde l' operazione è tanto più facile in quanto si tratta di animali mal conosciuti, poco conosciuti o solo alla vigilia di esserlo...
E' perché il Lamantino possiede della mammelle pettorali come il suo cugino Elefante marino, ma anche come la Donna, e perché il suo corpo termina a coda di pesce, che lo si è sempre confuso, da una parte e l' altra dell' Atlantico, con la conturbante Sirena - anche a dispetto del suo aspetto estremamente sgraziato ai nostri occhi - e lo si è sospettato nello stesso tempo di istinti sanguinari.
Ma in realtà è possibile pensare ad un animale più inoffensivo, più disarmato di questa specie di vacca marina che passa la maggior parte del suo tempo a brucare dei giacinti d' acqua ed altre piante succulente?
Nel secolo scorso circolavano in tutta l' Africa tropicale voci relative a un gigante peloso, sanguinario e lubrico che stordiva gli elefanti a colpi di bastone e rapiva le donne nella foresta per violentarle. Questo essere mezzo satiro e mezzo orco si è rivelato alla fine nient' altro che il Gorilla, una grande scimmia antropoide, che oggi sappiamo essere particolarmente mite e pacifica, quasi totalmente vegetariana e molto meno ossessionata dal sesso che l' uomo.
Da quando abbiamo incominciato a conoscerla meglio è stato necessario trasferire la sua cattiva reputazione ad un altro antropoide, questo ancora sconosciuto dell' Himalaya. E' questo che oggi è accusato di mettere gli yak K.o. a pugni nudi, prima di sventrarli con i suoi artigli, e di rapire per diletto le giovinette : l' abominevole Uomo delle nevi, per chiamarlo col suo nome, d' altra parte totalmente immeritato.
Quando alla vigilia della prima Guerra Mondiale fu scoperta su un' isola dell' Indonesia la più grande lucertola attualmente conosciuta, un varano che superava i tre metri di lunghezza, gli fu dato naturalmente il nome di Drago di Komodo. Eppure la sua taglia era insignificante rispetto a quelle dei più grandi coccodrilli, almeno due volte più lunghi, e pesanti almeno sei volte di più, fin anche a superare la tonnellata.
A questi veri mostri non si concede il nome prestigioso di "draghi", perché sono troppo ben conosciuti, e da troppo tempo, per essere ancora assimilati ad un qualche animale mitico. Ai nostri giorni si continua imperturbabilmente a trattare da "serpente di mare" qualsiasi animale slanciato apparentemente sconosciuto, che si intravede qua e là sulla superficie delle onde.
Eppure la maggior parte di essi si muove solo come dei mammiferi sono in grado di fare, con le ondulazioni verticali del corpo, di cui i rettili in generale, ed i serpenti in particolare, sono incapaci di fare.
Soprattutto dal 1933, animali insoliti ed abbastanza grandi sono segnalati molto frequentemente nel più grande lago delle isole britanniche. Per essersi perpetuati da secoli e secoli, è ovvio che essi devono costruire tutta una popolazione : d' altronde più esemplari sono stati osservati contemporaneamente.
Questo non impedisce che si continui a parlare del "mostro di Loch Ness" e che lo si sia accusato, ben ingiustamente, di divorare dei montoni.
Tutto ciò per renderlo conforme al mito del Drago lacustre, guardiano dei tesori, al quale la buona creanza vorrebbe si sacrificasse di tanto in tanto una vergine, un tipo di cibo divenuto raro.
Per non lasciare più al caso la scoperta di animali ancora ignorati e per accelerarla in qualche misura con delle ricerche orientate in modo preciso, mi sforzo da alcuni decenni, di edificare una disciplina nuova della Scienza, cui ho dato il nome di Criptozoologia (o scienza degli animali nascosti).
Oltre alla raccolta, la collocazione e la critica delle testimonianze degli osservatori, lo smascheramento dei falsi, l' analisi delle conoscenze degli indigeni e lo studio delle eventuali rappresentazioni - archeologiche o recenti - la cui sintesi deve sboccare sulla sistematizzazione di un ritratto-prototipo dell' aspetto dell' animale e di una descrizione il più possibile accurata dei suoi costumi, questa disciplina ha anche come scopo la demitizzazione delle voci, che corrono in varie parti del mondo, su diversi "mostri", al fine di scoprire gli animali reali che si nascondono sotto la loro maschera stereotipata.
A causa della quantità di aspetti fantastici di cui tali animali sono agghindati e dei comportamenti stravaganti che loro si attribuiscono, la loro realtà è sovente messa in dubbio o negata con forte sarcasmo da zoologi di spirito conservatore o da folkloristi che imputano tutto il meraviglioso all' immaginazione.
Di fatto danno prova di fraintendere la nozione di "mito" e di una totale incomprensione del processo di mitizzazione. E' proprio perché delle specie animali non sono state ancora identificate e debitamente classificate, che esse si prestano per eccellenza a questa operazione di distorsione e di adulterazione.
Meno sono conosciute, più è facile farle entrare di forza nello stampo, talvolta stretto, di un archetipo favoloso, proprio come Procuste col suo letto poco confortevole. E questa operazione da quel momento fa loro restar incollato al corpo, quasi come una decalcomania, l' aspetto caratteristico e le abitudini talvolta assurde del prototipo leggendario.
E, a questo punto, scrollarglieli di dosso diviene abbastanza delicato. Rassicuriamoci, comunque : questa operazione sistematica di demitizzazione dei mostri non finirà mai con l' annientamento di questi. Una volta entrati nell' ovile della Scienza, e debitamente da lei battezzati, gli animali che in essi si incarnano, se ne troveranno sempre altri per prendere la staffetta e svolgere il loro ruolo.
E se per caso l' inventario del mondo animale arrivasse davvero ad esaurirsi - cosa che l' attualità zoologica non cessa di smentire - troveremmo altrove di che nutrire i nostri miti. Già la Vamp artificiale, come quella del film Metropolis di Fritz Lang, è pronta ad occupare il posto dell' irresistibile Sirena; il Robot rapitore di giovani ninfette si sostituisce poco a poco nei film di fantascienza all' antico Satiro molestatore di ninfe e al suo successore, il Gorilla violentatore di indigene; i dischi volanti sostituiscono l' Uccello Roc per rapire i terrestri; i piccoli marziani verdi prendono il posto dei folletti, degli gnomi e degli altri rappresentanti del Piccolo Popolo; ed il Triangolo delle Bermude fa più vittime lui solo che il gran Trio oceanico : il Serpente di mare, la Sirena e il Polpo gigantesco.
I mostri non sono prossimi alla morte.
Non che siano eterni; senza dubbio sono nati con il nostro pensiero e finiranno con lui. Spero tuttavia che a loro sopravvivano tutti gli animali in carne e ossa che si sono incarnati successivamente in ciascuno di essi, e che in qualche modo li hanno nutriti e mantenuti in vita per l' equilibrio della nostra anima. Noi gli dobbiamo certamente almeno questo.
Tratto da www.criptozoo.com