di Antonino Rocca
C’è una ellissi nel fumetto: la cornice bianca che divide ogni vignetta dalla successiva. E’ il campo lasciato all’immaginazione del lettore che deve riempire quel vuoto (di spazio e di tempo) fra le due scenette, disegnare mentalmente l’anello mancante, anzi tutti quei piccoli anelli mancanti, le cesure che il fumettista ha lasciato aperte, costretto com’è dalla natura stessa del suo racconto a scegliere – fra le innumerevoli possibilità - solo la sequenza di alcune scene congruenti, lasciando al lettore il compito di “figurarsi” le altre, trasformando nella sua mente il fumetto (che e’ sequenza discreta, “digitale”) in un film ( che è sequenza continua “analogica”). Naturalmente il racconto ( i balloons e le didascalie) aiutano di molto la ricucitura. Ma qui ci interessa mettere in rilievo alcune delle innumerevoli metamorfosi che le ellissi hanno subito sotto la penna dei fumettisti. Grandi artisti delle strisce, come l’impressionista Hugo Pratt o l’espressionista astratto Lorenzo Mattotti rientrano nella schiera dei fedelissimi al sistema standard perchè lo stile, la logica, la forza del racconto figurato è tale da non richiedere l’aggiunta di una manipolazione “diversa” del sistema: vignetta, cesura, vignetta. Le cose cambiano in mano a fumettisti - illustratori (Sergio Toppi per tutti) che guardano non maggiore interesse estetico alla intera pagina disegnata che viene completamente ristrutturata coinvolgendo in un unico coerente drammatico disegno figure, balloons, didascalie, onomatopee, ellissi, spazio e tempo. Chè da una macchia notturna vien fuori un volto virile corrucciato che trapassa nel profilo di un uccello esotico che attraversa gli alberi d’un paesaggio tenebroso per fondersi con un enorme diadema in testa ad una magnifica Salomè riflessa nella penombra d’una finestra gotica. Di queste figure mischiate in un solo armonioso grumo decorativo abbiamo esempi infiniti (cito per mia personale affezione i lavori di Frank Miller). Interessante poi la metamorfosi operata in certi lavori da Moebius e più d’ogni altro da Philippe Druillet che trasforma la linea bianca in una vera e propria cornice architettonica che struttura simmetricamente l’intera pagina disegnata, la sostiene e la “centra” per un impatto visivo fortissimo. Anche il nostro Angelo Pavone ricorre a questo sistema figurativo incastonando le singole scene all’interno delle “isole” definite da una griglia geometrica “monumentale. Enki Bilal invece ( nella sua “Femme piege”, ad esempio) riempie la ellissi con delle strisce nere in cui risalta nello stile “pica” della scrittura a macchina una lunga didascalia bianca. Impossibile poi non citare Guido Crepax che manda in frantumi la pagina finestrata incastrando le schegge disegnate in combinazioni “casuali”, secondo modi che richiamano tante fonti culturali, dalle compenetrazioni futuriste, all’improvvisazione jazz, al racconto destrutturato di James Joyce.
E preferiamo fermarci qui, ci interessa soltanto stimolare la curiosità dei nostri lettori su un aspetto che i fumettisti attenti hanno certamente già scoperto in altre innumerevoli reinvenzioni. Quindi, come siamo soliti, ci piace proporre un campionario di immagini esemplificative, non trascurando di rilevare una delle più recenti evoluzioni della “zona neutra” di cui stiamo parlando: l’assoluta arbitrarietà nell’uso delle cesure, stravolte da nuove paradossali logiche narrative, fino alla totale sparizione della ellissi. A volte l’esito è certamente interessate, altre volte, come accade spesso nei moderni manga e soprattutto nei più forsennati fumetti americani, la violenza delle immagini e la ricerca di effettacci ultraspettacolari finisce per dissolvere la narrazione continua in un illeggibile fuoco pirotecnico di segni e figure, tutte fulgenti nei corpi cibernetici metallici e lampeggianti , così spropositatamente frenetici da sembrare, alla fine, immobili. Perché tutto è debordante e non c’è più nulla da immaginare.
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