di Antonino Rocca
Quando si vuole analizzare e “sistemare” un fenomeno lungo e complesso (come quello delle arti figurative, ad esempio) si comincia col mettere insieme entro categorie, generi, stili tutti quei personaggi le azioni, i fatti che si ritiene abbiano elementi comuni, e si cominciano ad appiccicare etichette (e spuntano i manieristi, gli impressionisti, i cubisti, i realisti, gli astratti….). La fase successiva consiste nell’entrare in ognuna delle dette categorie e analizzare, distinguere lo stile individuale di ogni singolo artista, per chiarire quali “cose” davvero li accomunano e quali li distinguono. Per scoprire, ad esempio, che all’interno dell’impressionismo ci sono tanti impressionismi diversi quanti sono le caratteristiche stilistiche proprie di ogni singolo artista.
Quando si vuole analizzare e “sistemare” un fenomeno lungo e complesso (come quello delle arti figurative, ad esempio) si comincia col mettere insieme entro categorie, generi, stili tutti quei personaggi le azioni, i fatti che si ritiene abbiano elementi comuni, e si cominciano ad appiccicare etichette (e spuntano i manieristi, gli impressionisti, i cubisti, i realisti, gli astratti….). La fase successiva consiste nell’entrare in ognuna delle dette categorie e analizzare, distinguere lo stile individuale di ogni singolo artista, per chiarire quali “cose” davvero li accomunano e quali li distinguono. Per scoprire, ad esempio, che all’interno dell’impressionismo ci sono tanti impressionismi diversi quanti sono le caratteristiche stilistiche proprie di ogni singolo artista.
Fine del
pistolotto didattico e inizio di una
impresa temeraria che in maniera del tutto arbitraria citerà soltanto alcuni
autori e alcune opere per tentare di evidenziare alcuni aspetti sul “modo” di
fare e fruire il fumetto. di Antonino Rocca
Nel fumetto
“realismi” ce ne sono tanti. Sono realisti i disegnatori dei Supereroi
americani da Alex Ross a Joe Jusko a Terry Todson, Ed Benes, Greg Land, Gary
Frank, MikeMayhew , sono realisti
Vicente Segrelles col suo “El Mercenario”, John Bolton, Moebius, Dino
Battaglia, Milo Manara, Vittorio Giardino…., sono tutti padroni delle tecniche
accademiche della prospettiva e della scrittura anatomica delle figure ma
ognuno disegna in modo diverso dall’altro. Non solo, ma a furia d’essere
realisti si può diventare metafisici come accade, ad esempio a Moebius e, in
qualche misura, anche al nostro Vittorio Giardino che ambienta i suoi nitidi
personaggi in uno spazio cosi preciso lucido e fermo, così perspicuamente
disegnato da sembrare “irreale”.
Stesse
ragioni valgono ovviamente per i “non realisti” e le innumerevoli deviazioni
dal realismo accademico, fino agli espressionismi più esasperati, fino alla
distruzione della figura , fino alle soglie dell’astrattismo (per intenderci
quelle stile Mattotti e i suoi “Fuochi”).
Qui vorremmo
fare qualche considerazione sulla precarietà di una fra le tante suddivisione
per generi , quella fatta per categorie di fruitori, una sorta di
minicatalogazione provvisoria, giusto il tempo di proporla per esporla alla contestazione e provocare un minimo di
riflessione.
Si potrebbe dare per scontato, ad esempio, che debba essere realista il fumetto destinato ai bambini, ma stante l’ambiguità del termine, l’asserzione diventa valida solo se si precisa che la realtà che i bambini esperimentano è fatta di pupazzetti e di giocattoli, allora anche i personaggi dei loro fumetti saranno pupazzetti e giocattoli. Come sono Yellow Kid, Fortunelo, Bibì e Bibò e gli eroi del “Corriere dei piccoli”, Topolino & C. I puffi e compagnia bella. Ma il campo si complica se pensiamo che molti dei cosiddetti fumetti per l’infanzia sono stati in molti sensi “adulti” per invenzione fantastica, raffinatezza stilistica, innovazione del linguaggio, basti pensare al Little Nemo di Mac Chey, straordinaria invenzione in stile liberty, al futuristico signor Bonaventura di Sergio Tofano, al surreale Krazy Kat di Herriman, alla rivoluzionaria Pimpa di Altan. Non solo, ma uno stile pupazzettato, molto semplificato pseudo-infantile (ma sottilmente raffinato) lo troviamo anche nei fumetti (più o meno) per adulti da Betty Boop di Max Fleischer fino ai Peanuts di Schulz e ancora, in quei fumetti in cui il segno molto sintetico caratterizza fortemente (a volte al limite del caricaturale) personaggi come il Dick Tracy di Chester Gould o certe primissime versioni dei supereroi.
Un fumetto
realistico, di facile lettura, ben a ragione potrebbe poi corrispondere (ma qui
il terreno si fa assai scivoloso) ad un pubblico “popolare” o di massa (complichiamoci
la vita : di cultura medio-bassa ). Meriti speciali nella categoria del banale
si è guadagnato quella parte della fumetteria americana “sparatutto”, che non
fa che proporre a getto continuo nuovi, sempre più improbabili supereroi elaborati al computer, tutti
fulgidi nelle loro tute aderentissime e corazze luccicanti di bit e impegnati
in terribilissime zuffe, contro mostri giganteschi che sprizzano saette di
acciaio inox per tutto l’universo, in una tempesta di proiettili, cazzotti e
colpi d’ascia dai quali ci si può difendere solo voltando pagina. Dietro tanto
spreco di energie, di chine, matite e computer: il racconto del nulla. Al
confronto, possono recuperare un minimo
di plausibilità le novelle illustrate e i fotoromanzi di qualche tempo fa e
pretendere visibilità financo i fumetti “vietati a i minori”, semipornografici
sia per gli argomenti che per la cura del disegno. Chè poi quel modestissimo
fumetto pulp è stato pur sempre terreno di iniziali esperienze di fumettisti
(Magnus per tutti) rivelatisi in seguito artisti di grosso calibro e che tanto
materiale “volgare” ha interessato settori della ricerca sociale e di costume
nonché esponenti delle arti figurative e del cinema (basti pensare alle
manipolazioni pulp dei film di Tarantino). E infine, lo stesso fumetto si è
divertito a parodiare se stesso reinventando nuove versioni dei più popolari e
consumati supereroi.
Ma il disegno realistico ovviamente ha conquistato anche livelli assai alti e si è impegnato in innumerevoli variazioni sul tema, raccogliendo firme prestigiose di fumettisti iper-realisti, foto-realisti, digital-realisti che pretendono fruitori piuttosto raffinati per coglierne gli aspetti nuovi , virtuosistici, a volte enigmatici, surreali, come accade per il citato Moebius”, Druillet, Bilal…., ma l’elenco potrebbe essere lunghissimo
Per non dire
delle interessanti metamorfosi che avvengono all’interno dello stile di uno
stesso autore (si pensi all’inglese John Bolton da “Marada la lupa” a “Il San
Valentino di Arlecchino”) o nella storia di uno stesso personaggio (Vampirella,
per esempio, che parte dalla sexy-bambolina di Frank Frazzetta per passare alla
vamp iperrealista di Mike Maryhek fino ad arrivare alla pin-up parigina di
Bruce Timm ).
Ugualmente
ad un pubblico adulto, più colto aggiornato e specializzato si può riferire poi
un tipo di fumetto più lontano dalla narrazione realistica a vantaggio di un disegno più sperimentale,
spesso influenzato dalle correnti della pittura contemporanea o dai media più
nuovi. Solo qualche nome : (accanto ai citati Moebius, Druillet e Bilal) l’americano Frank Miller e i nostri vecchi:
Dino Battaglia, Sergio Toppi, Guido Crepax, Lorenzo Mattotti….Ma una della più
violente reazioni al fumetto realista è stata verosimilmente quella portata dal
fumetto americano undergraund” e dal suo più noto rappresentante: Robert Crumb;
uno di quelli nati sotto il segno del Vietnam, testimoni del crollo del sogno
americano, spinto a gridare forte fino alla sguaiataggine la sua verità. Nel
mondo delle arti americano ci sono sempre stati artisti che hanno scelto di
rappresentare la faccia nascosta dell’america, il suo specchio nero,
specialmente nei momenti di maggiore coinvolgimento e sconvolgimento sociale e
in cui più forte si fa per il potere costituito la necessità di eludere la
tragedia delle cose dietro la facciata delle grandi missioni, dei grandi
sacrifici (delle guerre sante) per salvare l’America e l’Umanità. All’epoca del
Vietnam, nel campo del fumetto, il più famoso bastian contrario è stato appunto
Robert Crumb.Agli antipodi della splendida Wonder Women di Alex Ross, Crumb propone la sua “abominevole donna delle
nevi”. I temi e i disegni di Crumb e dei
suoi compagni di strada, sono tutti sesso droga e violenza, il segno è grasso,
grosso, deforme, eccessivo, ed è sconveniente, scorretto, volgare, sbracato,
paradossale. Un segno che torna in altri tempi e spazi nell’arte di quegli
artisti che devono fare i conti con i mille vietnam individuali o collettivi
che continuamente si ripresentano (
come accade per il nostro Andrea Pazienza quando è veramente arrabbiato). In
altri climi e toni, più epici e universali, emerge il tragico “Maus” di
Spiegelman e, da li a poco, “V per Vendetta” di Alan Moore e David Lloyd che
richiama per certi toni drammatici e visionari il capolavoro argentino “El
eternauta” di Oesterheld e Solano Lopez; tutti impegnati a raccontare alludere
o prefigurare una condizione sociale tragica, resa con estrema efficacia da un
disegno “nero”, kafkiano; esito straordinario d’una perfetta coerenza fra
disegno e racconto, fra sceneggiatori e fumettisti.
E infine ci
sono i fumetti “scarabocchiati”, dallo stesso Mattotti nelle sue “Stigmate” per
esempio, da Gepi, da Antonio Bruno…. etcetera. Un fumetto che può rientrare nel
calderone dell’espressionismo, ma che si caratterizza per una accentuata
“sprezzatura” un segno che appare approssimativo, trascurato, buttato giù senza
criterio, spesso con violenza, pieno di macchie e cancellature. Eppure nella
maggior parte dei casi costituisce il miglior esempio, di reciproco
rafforzamento fra disegno e parola, dove
l’asprezza nuda e cruda del segno (che però spesso non riesce ad eludere
una sottile raffinatezza di fondo, una costruzione della scena sostanzialmente
“classica”) è la più adatta alla stringata durezza del parlato, e insieme
riescono a trasmettere un messaggio emotivo di grande efficacia.
Perché,
certamente, è questo quello che conta: “comunicare”, ma a noi interessa anche
il”come”.
E per il
momento qui ci fermiamo.
stop
Nessun commento:
Posta un commento