lunedì 27 aprile 2009

Matreus, la vulcanica fantasia di un raccontatore d'immagini

di Plato

Parlando con matreus, nome vero Davide Bruno, si capisce subito che non si considera un fumettista canonico, bensì un narratore più d’istinto che di tecnica, artefice del fumetto solo, lui dice, in attesa di altri mezzi espressivi migliori e più fedeli alle sue idee (che avrà mai voluto dire? Ndr). Classe ’78, frequentatore del club del fumetto da un decennio, matreus è tra gli autori catanesi che da anni collabora con la fondazione Marco Montalbano e con la galleria progetti D’arte. Fin dalle prime battute si capisce che la tecnica è sempre stato un suo piccolo cruccio, autodefinendo il proprio stile “metodicamente barbarico”. Senza troppe tecniche, ne mezzi complicati, fin dai suoi 9 anni, matreus continua un viaggio nella propria fantasia, attraverso il disegno ed il racconto.


Autore di storie spesso complesse, altre volte buffe ed ironiche, dove dialoghi a volte poetici ed altisonanti fanno da sfondo ad un tratto pulito, apparentemente equilibrato, si avvicina più al genere europeo che italiano di fare fumetto. Più che nel ruolo di disegnatore sembra identificarsi maggiormente nello stato d'animo dell'autore, dicendosi capace di scavare nella psiche dei personaggi e delle situazioni mostrandone un animo segreto, riflessivo.

Quali sono i tuoi obiettivi quando decidi di rappresentare una storia?

Tutto nasce dall'idea di voler condividere una storia con il prossimo, uno stimolo che ti porta a cercare di formare e trasformare nel modo più dinamico e gradevole possibile il racconto che nella tua mente ha una forma limpida e definita, ma che all'esterno appare come puro caos. Comincia da qui la parte divertente, dove la mente lucida, la cultura che hai accumulato fino a quel punto, tutto quello che hai assorbito di solito viene fuori. Più smussi gli angoli della racconto, però, più snaturi il soggetto iniziale; ma anche quella è una scelta accurata che dipende dall'obiettivo finale dice ciò che stai facendo. Le cause iniziali, comunque, nascono da un fattore del tutto personale, quasi egoistico; un appetito che non si sazia finché il racconto non è dato alla luce, anche attraverso il disegno, la tecnica e soprattutto l’istinto.


Pare che a te piaccia molto raccontare, anche attraverso le immagini; credi che esista un solo modo di raccontare le storie migliori?

In questi anni d'esperienza mi sono fatto un'idea su come si racconti una storia, sebbene capirlo non significa che lo si riesca fare scientificamente ogni volta. Raccontare, soprattutto per immagini è la cosa più bella che l'uomo possa sperare di scoprire dentro sé e credo che sia proprio questo il segreto. È indubbio che esista un'alchimia precisa nel raccontare, mantenendo la storia viva, bilanciarla tenendo il lettore attaccato al racconto fino alla fine, equilibrare i personaggi dando ad ognuno un ruolo fondamentale; ma è anche vero che al di là di come si sia raccontato un soggetto ciò che importa alla fine è il pubblico a cui è rivolto. Credo che ognuno di noi assorba le parti di una storia in maniera diversa, in un certo senso è come se ognuno vivesse di eventi attraverso il proprio filtro personale; la cosa più importante che un narratore dovrebbe fare, a mio avviso, è quella di trasmettere il più possibile nell'opera che si sta compiendo; il risultato finale, infine, lo deciderà il lettore e solo il lettore.


Da molti anni collabori con la compagnia di “fumetto al cubo”; com’è cominciato tutto?

Attorno al 2000, spinto da una mostra di Davide Toffolo presso la galleria progetti d’arte; lì conobbi Antonino Rocca e presto anche Angelo Pavone, venne in seguito il turno del compianto Paolo Montalbano, tutti da sempre grandi sostenitori del fumetto a Catania. Successivamente allo stage di fumetto di Angelo, divenuto ormai uno status quo nella città, sono venute numerose mostre, progetti, scambi artistici e culturali profondissimi che oggi hanno trovato sfogo in questo prodotto, F3 appunto, che solo l'ultimo di una serie di eventi artistici da noi realizzati, e il primo di una serie di opere che faranno da voce e da cassa di risonanza della nostra fantasia.


Parlaci un po' di Crasheye, il tuo racconto all’interno di f3. Un appunto poi, sbaglio o mi è sembrato di riconoscere qualcuno là dentro ?

Si, non sbagli. Mi piace giocare con quello che ho dentro la testa, e mi diverto a prendere quel personaggio della mia infanzia, o che comunque mi ha colpito in modo particolare, tentando di dar loro un nuovo volto, una nuova pelle, magari più attuale. Credo che ogni buon personaggio viva e sopravviva aggrappato ad un archetipo primordiale, archetipo a cui ancoro il nucleo di un mio racconto e lasciando solo che l’atmosfera della storia originale a cui mi ispiro diventi uno sfondo; operazione che comunque rimane un gioco, un divertimento, che in parte dedico ai personaggi preferiti della mia infanzia, in loro onore, senza volontà di copiare nulla. In Crasheye ho fatto qualcosa del genere, reinterpretando in modo giocoso e fantascientifico alcuni tra i principali personaggi di Segar, autore di Braccio di ferro. Braccio di ferro ed i suoi amici, infatti, appaiono reinterpretati in chiave diversa, ma rimanendo più o meno riconoscibili. Non è certo l'unica contaminazione all'interno della racconto, che vede, il protagonista Aaron Pugno di ferro alle prese con la ricerca della sua amata Aliive, l'unica a detenere il segreto della vita dentro di sé, contenuto a sua volta in un antico manufatto. A cercare di fermarlo l’acerrimo nemico Braatos, possente barbuto fustacchione pieno di sé, anche lui innamorato di Aliive. Non che ci sia molto da aggiungere sulla storia, ma vi invito a darle un’occhiata.


Quali limiti può avere la creatività e l'originalità in un campo dove questo spesso lascia spazio alle più tradizionali copie delle copie delle copie, che rappresentano alla fine una certezza economica più che un investimento per il futuro ?

Le creazioni dell'uomo da sempre hanno avuto bisogno della radice per poter crescere e fruttificare, perciò non credo che copiare o ispirarsi sia di per sé una penalità; è anche vero che essere originali oggi, e non è di certo il mio caso, in ogni campo rende la vita più dura. Il fumetto è di per sé una forma d'arte estremamente sfaccettata, fatta di generi, approcci differenti, che ne cambiano il senso finale sulla base del target definito di utenti a cui vengono rivolti; il fatto è che questi generi devono essere identificati da una forma, un colore, uno stile che li rappresenti e che rimanga simile per tutti coloro che scelgono di appartenere al quel genere, cosa che spesso lascia poco spazio a opere magari differenti e innovative. Una cosa è certa, però, se il prodotto è valido e concorrenziale prima o poi diventa capace di scavarsi la sua piccola nicchia di pubblico, che è più attento di quanto non si creda.


Se ti chiedessi di scegliere di buttare giù dalla torre fantascienza o fantasy, tu che risponderesti?

Probabilmente nessuno dei due; amo le commistioni e le contaminazioni fra i generi. Rimarrei sulla torre con tutti e due e magari darei vita ad un “Fantashy”, con fumosi draghi meccanici inquinanti, elfi con navi spaziali fatti di corteccia e cavalieri muniti di bioarmature per sopravvivere nello spazio e con spade muniti si software integrati e magari anche capaci analizzare il dna delle vittime per immagazzinarlo in un database galattico! (Tranquilli, alla fine dell’intervista ha ammesso di essere pazzo. ndr).

Il futuro cosa riserva per te?

difficile dire cosa ci sia dietro l'angolo, ma di certo il mare grande, e le possibilità ancora di più; io sarò sempre qui con il colpo in canna.



Simone Campisano, la realtà vista con gli occhi della fantasia.

di Plato

Nasce a Caltagirone nel’ 86. Sin da piccolo scarabocchia su fogli con matite e colori, poi sui diari per il piacere di amici ed amiche, sui muri per il dispiacere dei genitori e delle forze dell’ordine, decidendo di tornare infine sui fogli, essendo un universo più intimo e sicuro.

Oggi Simone Campisano è un giovane uomo in viaggio verso la propria passione, il fumetto non è infatti per lui un semplice fine creativo ma soprattutto un canale espressivo degno delle altre forme d'arte. Anche lui è un autore intriso del fuoco dell’Etna, in piena ricerca e pieno influenze che non condizionano il suo stile, ma che lo riempiono di dinamiche personali.

Fumetto al cubo non si è limitato ad assorbirlo tra le sue pagine semplicemente per le sue doti artistiche, che non mancano di certo, bensì per ciò che egli stesso rappresenta, portando un'altra delle sei facce del cubo, quel lato che parla dei numerosi autori che partono via dalla propria terra in cerca di fama, soldi e si spera successo.


Da dove nasce la tua passione per il fumetto?

Inizialmente la passione nasce dal piacere di disegnare, cosa che ho fatto sin da piccolissimo. Crescendo, leggendo anche molti libri, ho capito che il fumetto non è solo estetica, anzi!!!
Il “problema” del disegno è solo una maschera poiché ritengo che il fumetto
sia una cosa molto più complessa. Il fumetto è esprimere, raccontare qualcosa. Avere il bisogno di dire qualcosa in un modo personale.
Ecco perché ormai non posso fare a meno di quest'arte.

Perché voglio raccontare.


Quali sono i tuoi autori di riferimento?

Ormai sono tanti. Non so più a chi sono vicino attualmente.

I miei amori passati e con cui mi sono evoluti spaziano di genere e di nazionalità. Per quanto riguarda il disegno mi sento molto influenzato dall’universo underground in generale, ma anche da pietre miliari come Miller, Mignola, Inoue, Toffolo, Gipi, Pazienza, Oeming e chi in generale spazia nella sperimentazione di una bella sintesi estremizzata. Per quanto riguarda le tematiche sono ora come ora molto vicino alle storie intime, quasi autobiografiche con qualcosa di onirico e di reale e quotidiano al tempo stesso, quindi mi ispiro a Gipi, Toffolo, Igort, Baronciani, Pazienza, Delisle.


Qual è la storia a fumetti o il romanzo che avresti voluto creare?

Come romanzo “Non buttiamoci giù” di Nick Hornby. Una storia di alcune persone diversissime tra loro che vogliono suicidarsi, ma che, incontrandosi, decidono di aiutarsi e di capire se ancora c’è qualcosa di buono della lo

ro vita. Molto interessante è il come è raccontata la storia: l’espediente utilizzato è molto forte, in quanto i narratori sono gli stessi personaggi che si alternano in capitoli raccontando in prima persona gli eventi.

Come fumetto avrei voluto scrivere e disegnare “Verde matematico” di Andrea Pazienza e “Il re bianco” di Davide Toffolo. Il modo in cui sono raccontati, con l’uso perfetto delle immagini, delle parole e dei pensieri rendono tutto al tempo stesso incredibile, assurdo ma anche crudo e reale.


Quant’è importante per te la letteratura disegnata, e ti condiziona il fatto di essere anche un lettore?

La letteratura e il fumetto per me sono due cose inscindibili, a cui cerco sempre di fondere e mettere dentro anche il cinema.

Ormai nella mia vita sono una gran bella fetta di tempo, tra scrivere, disegnare e leggere, oltre a un piacere personale spero di piacere anche ad altri.

Quindi essere un lettore e soprattutto una persona curiosa può soltanto aiutarmi ad aprire quello che io chiamo “il terzo occhio”, cioè quel occhio che tutti abbiamo ma che non tutti usiamo.

Con quest’occhio avremo una differente visione delle cose anche più banali, come guardare il cielo, il mare o qualcuno in faccia.


Cosa pensi del fumetto a in Italia e cosa credi che serva al fumetto che non sia ancora stato inventato?

Di nuovo servono semplicemente più persone che ci vivono. Questo si ottiene dando più spazio e non saturando una parte del fumetto popolare che è un po’ ferma da anni. Più che inventare qualcosa di nuovo, io riprenderei dal passato l’ottima esperienza delle riviste, così come ad esempio succede con la nostra F3.

Sostengo le riviste perché al suo interno possono essere varie, possono dare spazio ad esordienti, giovani promesse ma anche ad affermati professionisti e poi anche perché c’è un continuo

confronto con altri artisti che crea stimoli sempre più nuovi.

Creare una sorta di movimento in cui si abbia la possibilità di scrivere e disegnare il più possibile, parlando di tutto.

Ovviamente il problema sono i soldi.

Chi disegnerebbe tutti i giorni dovrebbe pur vivere.

Ma lasciatemi sognare…


Come è cominciata la collaborazione con la compagnia di fumetto al cubo?

L’avventura è iniziata semplicemente con la mia partecipazione al corso di fumetto organizzato dalla “Fondazione Marco Montalbano” e dalla galleria “Progetti d’arte” durata due anni.

Lì, da zero, grazie ad Angelo Pavone e Alessio Maggioni, sono sempre di più entrato in un universo che non conoscevo e che mi ha portato a incontrare molti altri fumettisti catanesi e artisti in generale.

Ovviamente c’ho messo anche del mio.

Nel frattempo che “studiavo” all’Accademia di Belle Arti, disegnavo sempre qualche ora al giorno e così in breve tempo ho avuto un qualcosa che mi ha portato a poter partecipare a questo ambizioso e bellissimo progetto a cui credo fortemente!

Perché Catania e il fumetto in generale, in Sicilia, si deve mostrare a tutti!!!


Dove è nato il soggetto della tua storia?

Da quello che mi circonda. Dai sensi di colpa che ognuno di noi dovrebbe avere per ilo modo insensato in cui viviamo. Dal grido che spesso sento venire da dentro e che mi avverte che così non va. Non a caso ho voluto utilizzare personaggi appartenenti a culture ormai opposte.Uno è un americano, un occidentale che vive in un certo modo e che ha raggiunto quel modo di vivere grazie alla violenza e al potere della politica e delle religioni.

Le “guide spirituali” sono invece una nativa americana e un’africana, simbolo della prepotenza di che hanno subito quei popoli e che quindi li ha resi “superiori” a noi che siamo dei “peccatori”. Non a caso questo è solo il primo dei quattro episodi dove il protagonista proseguirà il viaggio che verrà seguito dall’ indiana nei primi due e dalla guida africana negli ultimi; insomma tutto dipenderà dal luogo in cui verranno ambientati gli episodi.


Parlare di attualità e di guerra usando la fantascienza come strumento principale e di certo un’idea pericolosa ma accattivante; ma cosa è secondo te la fantascienza ed il fantastico nella narrativa contemporanea?

Credo che sia l’evoluzione della vita normale. Penso che per scrivere un qualcosa di fantasy o di fantastico, oltre a riferimenti letterari come miti, leggende e cose così, si debba capire in che contesto viviamo e in che modo possiamo esagerare, su quali aspetti del reale possiamo basare poi una storia e un mondo che sia lontano anni luce, ma che sia semplicemente allegoria del nostro microuniverso.


A quali progetti stai lavorando adesso?

A parte delle ministorie scritte e disegnate che faccio per la Scuola del Fumetto di Milano, sto lavorando al mio secondo fumetto, Vento di Scirocco. Una storia che parla di come il passato, l’infanzia, i ricordi di una famiglia unita e i sogni riescano ad alterare la quotidianità di un giovane ragazzo meridionale che per lavoro e per passione si è trasferito lontano dal suo paese natale. Parallelamente lavoro anche a piccole ministorie e alla scrittura e illustrazione di fiabe per bambini.

Non è certo un ramingo in cerca del solo successo, Simone, ma anzi, pare armato pure da una fiamma e da un bisogno creativo di raccontare se stesso ed il mondo attraverso i suoi occhi, mostrando una realtà che talvolta delude ma che spesso sorprende quando viene vista attraverso il riflesso di un sognatore in grado di raccontare a modo suo le proprie visioni.


martedì 21 aprile 2009

I racconti fantastici di Alessio Maggioni

di Plato
L'introverso e caleidoscopico Alessio Maggioni, autore catanese frequentatore assiduo del club del fumetto da più ore di un pilota di linea in straordinario, diventa anch'esso parte integrante del fumetto della città grazie a questo dono mutaforme di presentare la letteratura disegnata con stili e generi differenti, animati dalla stessa forza creativa che lo stimola sempre verso nuovi orizzonti.

Alcuni la definirebbero cangiante la sua tecnica di disegno, così piena di “pittura”, così visionaria e solo apparentemente incerta della sapienza dei neri intensi o dei colori accesi; timbri che spesso colpiscono per l'impatto talvolta limpido, altre volte caotico delle tavole visionarie dalle inquadrature pompose che realizza.
Penombre, neri intensi e fantasia colorata da
un'immaginazione vulcanica; e proprio come un vulcano le opere di Alessio spesso posso divenire da un semplice panorama da gustare in silenzio ad uno spazio pittoresco ed esplosivo che certamente sa sorprendere l’osservatore.

Dove comincia il fumetto per te, così capace di esplorare numerosi generi e confini stilistici, e dove finisce, per divenire, magari, qualcos’altro?
I miei fumetti nascono dalla semplice voglia di disegnare: spesso la narrazione di una storia è solo un pretesto per copiare un paesaggio o dei costumi esotici, oppure inventare figure dalle sembianze grottesche. I miei personaggi esistono non tanto per agire nel loro mondo fantastico ma per dare vita al foglio di carta, una vita statica ma formicolante. Molte delle mie tavole somigliano più a delle illustrazioni che a pagine di fumetto.

Cosa guida la tua matita e la tua mente quando crei ?

Ciò che più mi sta a cuore nella preparazione di una tavola è la tecnica di inchiostrazione: ombre, linee e chiaroscuri sono al centro dei miei pensieri. Cerco ispirazione nell'osservare certi particolari del mondo che ci circonda: cose come ciuffi di capelli, ombre di piante sul terreno, venature del legno, crepe sui muri, la sezione interna delle carote, macchie di vario tipo... tutte cose che sembrano fatte apposta per essere disegnate con l'inchiostro.
Anche nei fumetti che leggo usualmente sono più attratto dai dettagli, dai singoli segni più che dal complesso.
Il tuo tratto è talvolta aggressivo ma bilanciato, quanto, secondo te il disegno può influire sulla storia e viceversa.

Ti rivelo un mio piccolo segreto (!) L'equilibrio tra bianchi e neri delle mie tavole è idealmente ispirato alla corteccia della betulla etnea: le figure sono intrecci di chiaroscuri e segni vari, che sfociano in grandi vuoti e negli spazi tra le vignette.
Da quanto detto finora avrai capito che per me la trama, il raccontare vero e proprio, è di secondaria importanza... quando occorre una narrazione più scorrevole mi sforzo di dare la precedenza a scelte grafiche più semplici e funzionali, ma non sempre con risultati soddisfacenti.

Anche tu da anni conosci la compagnia di “fumetto al cubo”, ma com’è andata? Come vi siete conosciuti?


Ho cominciato a disegnare seriamente quand'ero già piuttosto grande, sopra i vent'anni; andavo a lezione da un'artista, Loredana Catania, traendone un profitto e una gratificazione che mai ho conosciuto in tanti anni di scuola ed università. A un certo punto però la mia maestra se ne partì per andare ad insegnare al nord, lasciandomi un bagaglio di conoscenze variegato ma incompleto.
Mentre giocavo a fare l'autodidatta, mi giunsero voci da varie parti circa un corso di fumetti a Catania. Essendo sempre stato un vorace lettore di letteratura disegnata, pensai che questa sarebbe stato lo sbocco ideale per le mie mire artistiche... la prima volta che entrai alla Galleria Progetti d'arte (era il 2003) avevo già le idee chiare su questo (anche se negli anni la mia visione del fumetto è cambiata parecchio).
Mi iscrissi al corso, e da allora ho frequentato mese per mese tutte le lezioni di Angelo Pavone, con una passione crescente per le potenzialità dell'inchiostro, sfociata ormai in una sorta di fanatismo. Non faccio altro che disegnare!...

La trama della tua storia è sicuramente d’impatto e non solo da punto di vista grafico. Cosa ha originato una storia di confine come quella che hai proposto su F3?

Rileggendo Gaolgot (così si intitola) a un mese di distanza dal suo completamento, devo dirmi abbastanza soddisfatto dell'equilibrio fra narrazione e disegno (quello, come dicevo, che non sempre da risultati soddisfacenti). La storia è nata da uno spunto di qualche anno fa, e ripropone delle tematiche che mi sono usuali: l'identità tra la vita e la morte, tra la natura e il soprannaturale.
Ciò che rende diversa questa Gaolgot e la proietta in una zona “delicata” del nostro immaginario, sono soltanto due elementi, neanche centrali a mio avviso (non dico di più per non influenzare chi leggesse la storia dopo questa intervista).
L'impatto che dici tu, la malizia, non è insita nella storia, ma in chi la legge (e in chi la scrive!); se veniamo turbati dall'odio che muove il mio personaggio, forse è perché di quell'odio siamo in qualche modo inconsciamente partecipi.

Quale genere prediligi tra i molti sottogeneri del fantastico e cosa ti attira di più di esso?

La mitologia, soprattutto quella greca. Mi ha sempre affascinato, ma ho cominciato a guardarla in maniera diversa qualche anno fa, dopo aver letto un libro di Roberto Calasso intitolato “Le nozze di Cadmo e Armonia”. L'autore intreccia le storie degli dei e dei mostri delle leggende con quelle di uomini e donne, filosofi e condottieri dell'antica Grecia, spezzando e riannodando la narrazione come se la inseguisse attraverso i secoli.
Mi ha molto ispirato anche a livello grafico.

Cosa riserva per te il prossimo futuro?

Adesso sto preparando un progetto che ho in mente da tempo, con delle storie di ambientazione western collegate tra loro, in cui gli animali del deserto sono presenti e attivi più dei protagonisti. Poi ho in mente una storia mitologico-fantascientifica, ancora molto in embrione.
Anche Gaolgot meriterebbe di essere estesa e ristrutturata come una storia ad ampio respiro, magari tutta a colori...
Le idee non mancano, il tempo neppure!


lunedì 20 aprile 2009

Federica Giaconia, il lato dark del fumetto Catanese

di Plato

Federica Giaconia, creatura graziosa e difficile da decifrare chiaramente. Artista poliedrica capace di un gusto profondo verso un’estetica ed una grazia delle forme che travalica il semplice fumetto disegnato, cosa che spesso la porta a realizzare altre forme d’arte con la stessa forza espressiva e con la medesima limpidità del tratto.


Anche lei membro del club del fumetto di Catania da molti anni, presente ma silenziosa, si è sempre contraddistinta per il suo stile accattivante e filonipponico che nelle sue mani diventa una forma di fumetto tutta catanese: espressione di un gusto tenebroso e gotico, misto horror soft dove, fra

affascinanti vampiri, deliziose e giovani pulzelle nell'ombra di una chiesa sconsacrata, culti satanici solo nell'apparenza pericolosi e magia sommessa pronunciata nelle notti di luna piena, sulla tavola infine si tramutano in un'equilibrata rappresentazione fumettistica personale di un gotico tutto nostrano.

Anche lei autrice di questonumero zero di fumetti al cubo, con il suo tratto già ben conosciuto nella città natale della rivista, ci regala una breve ed onirica prova di abilità e sensualità delle forme.

Credi chè il fumetto sia per il modo migliore di esprimere la tua creatività?

Mi sono innamorata del fumetto sin da piccolina, quando cercavo di ridisegnare i fumetti che leggevo, per poter cambiare la storia, trasformarla come piaceva a me...diciamo che quello che amo del fumetto è il poter scappare dalla realtà, in un mondo tutto mio...e poter addirittura crearla, e questo è bellissimo, perchè quello che penso,quello che vorrei, quello che non ho, diventa davvero reale!


Autori preferiti?

Mi piace un pò tutto in effetti, perchè in ognuno c'è sempre qualcosa che mi interessa...i miei preferiti sono Frank Miller ed Enki Bilal.


Come sarebbe il tuo capolavoro fumettistico se potessi crearlo domani?

Veramente non mi viene in mente qualcosa in particolare...però sicuramente una bellissima storia gothic, con demoni e vampiri!!

Quant’è importante per te la letteratura disegnata, e ti condiziona il fatto di essere anche un lettore?

Sicuramente è importantissima...ho bisogno di almeno una "mega-dose" mensile di fumetti al mese da leggere (italiani,americani,manga...) e ovviamente da disegnare!


Credi che la crisi del fumetto in Italia sia finito?

Non so cosa serva al fumetto oggi, credo, però, che sia un linguaggio completo. Credo che il problema sia la “gente” e la mentalità catanese, oltre che nazionale...credo che quello che manchi al fumetto italiano sia una cultura del fumetto...e questa non è facile da "inventare" purtroppo.


Anche tu collabori da oltre 10 anni con la compagnia di Fumetti al cubo. Com’è cominciata?

Ci siamo conosciuti grazie ai corsi di fumetto organizzati dalla Fondazione Marco Montalbano e dalla Galleria Progetti d'Arte, molti anni fa, infatti. A Catania sono davvero in pochi a cercare di portare avanti il fumetto seriamente, ed è stata una fortuna conoscerli, perchè mi hanno fatto sperare di nuovo che anche nella nostra città possa nascere qualcosa...

Dove è nato il soggetto della tua storia?

Da una mia passione per i "personaggi cattivi" delle leggende e delle mitologie, che trovo molto più interessanti dei soliti "eroi buoni e perfetti"!

La tue tavole sono talmente oniriche da avere un’atmosfera completamente fantastica e quasi fuori dal mondo; ma cosa è secondo te il fantastico nella narrativa contemporanea?

Io credo che sia semplicemente un'evasione, una fuga, in mondi sicuramente migliori del nostro...queste storie fantastiche ci "ricaricano" e ci fanno sembrare tutto più bello, anche la realtà.


A quali progetti stai lavorando adesso?

Sto lavorando a due progetti,a cui tengo molto: uno scritto da una mia cara amica, e un altro "multimediale" che sarà anche la mia tesi...il tutto nei ritagli di tempo tra lezioni ed esami!

giovedì 16 aprile 2009

Fabio Grasso, il bisogno indispensabile del fantastico

di Plato

Artisti si nasce? Ci si diventa?

Chissà dove sta la verità; ma tant’è che Fabio Grasso, classe ‘72, senza nulla togliere ad altri dotatissimi autori catanesi e non, l’illustrazione ed il fumetto c’è l’ha dentro fin dalla tenera età.

Assieme al fratello Silvio ( quando si dice avere l’arte nel sangue! ndr) è già artefice di numerose opere illustrative in giro per la città, piccole pubblicazioni regionali che ne hanno mostrato però una grande forza espressiva. Fabio è animato da una forza silenziosa ed estremamente creativa, vulcanicità che si esprime soprattutto nelle sue illustrative e suggestive tavole a fumetti, opera di ore di meticoloso impegno certosino. Arte certamente di stampo europeo, se proprio vogliamo dare una provenienza del suo stile, ma piena anch’essa di centinaia di influenze e miscugli stilistici che ne forgiano uno ancora più accattivante e caldo.

Da dove nasce la tua passione per il fumetto?

Penso che la mia prima necessità è stata quella di rappresentare le mie emozioni attraverso delle immagini, agli inizi non necessariamente attraverso il fumetto. E anche a tutt’oggi non mi considero un fumettista alla maniera tradizionale, ma piuttosto un fumettista “difettoso”. Infatti spesso torno diverse volte sulla stessa immagine prima di riuscire a trovare la forma definitiva. E così i miei tempi di realizzazione risultano molto più lunghi. Ciò nondimeno il fumetto resta la forma d’arte che più si presta al mio modo di esprimermi.


Quali sono i tuoi autori di riferimento?

Nell’arco della mia vita si sono succeduti diversi autori con il maturare del mio stile, ma quelli che hanno influenzato maggiormente il mio stile sono: Alfredo Alcalà (autore di molti albi di “Conan la spada selvaggia”), più recentemente Takehiko Inoue ( autore di “vagabond”), kentaro Miura ( autore di “berserk”), e nostrani come Milo Manara e frezzato.


Qual' è la storia a fumetti o il romanzo che avresti voluto creare?

Sicuramente una grande storia di avventura. Di certo ne esistono già di fantastiche come ad esempio “il signore degli anelli”, ma mi piacerebbe realizzarne una che non è ancora stata pensata.


Cosa pensi del fumetto in Italia e cosa credi che serva al fumetto che non sia ancora stato inventato?

Per quanto riguarda il fumetto italiano, penso che sia, o troppo ingessato nei canoni del fumetto bonelliano e comunque troppo bloccato in determinati generi. E forse anche un po’ troppo condizionato dalla mentalità di noi italiani.

Per quanto riguardo ciò che possa servire a migliorare il fumetto no so, forse una maggiore compenetrazione con le altre arti, ad esempio il cinema. Magari se un domani si potesse fondere nel fumetto i suoni alle immagini, ma potremmo dire in generale tutto ciò che possa contribuire a rendere il fumetto un esperienza più coinvolgente.

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Come è cominciata la collaborazione con la compagnia di fumetto al cubo?

Come un po’ tutti grazie alla fondazione M. Montalbano e alla galleria Progetti D’Arte.


Dove è nato il soggetto della tua storia?

Generalmente non sono io che cerco le storie ma le storie a cercare me. Come una nuvola confusa , a poco a poco si definisce, si smussa, si plasma sino a divenire il racconto definitivo.


Visto che il fantasy per te è divenuto quasi un linguaggio naturale, Quali sono oggi le difficoltà di accostarsi a questo genere di storie?

Al di là del fatto che oggi la crudezza sembri essere l’unico interesse dei media. Ritengo che in qualche modo anche nel passato, magari in altre forme, la crudeltà della vita sia sempre stata attuale. Ed è sempre stato lo spunto perché il fantasy si affermasse. Non solo come fuga dalla realtà ma anche come maniera per sublimare la crudezza della realtà. Perciò penso che oggi ci sia un maggiore bisogno di fantasia.

Hai in lavorazione altre opere?

In realtà ho molti progetti. Ma non avendo molte possibilità di pubblicare manca la spinta a realizzarli. E’ una fortuna che ci siano iniziative come Fumetti al cubo che danno spazio ad autori come me che hanno solo voglia di raccontare e far sognare la gente di ogni età.

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