Pulp = polpa, detto di carta scadente, non raffinata, ancora allo stato polposo com’è la poltiglia acquosa di materiali vegetali misti a stracci che vengono adoperati per la produzione dei fogli di carta. Carta ultraeconomica per la stampa di pubblicazioni popolari (racconti d’avventure e simili) e che si andava sbriciolando con l’uso. Carta scadente per una letteratura scadente destinata ad un pubblico “scadente”, appena in grado di leggere. Il termine è stato usato per indicare un genere letterario popolare in voga nell’america di fine 800 - prima metà del 900: le pulp magazines, rivistine da quattro soldi che raccontavano di intrighi e innamoramenti, baci e coltellate e che per attrarre un pubblico in gran parte povero e depresso tendeva a forzare la mano alla morale corrente e caratterizzarsi per tematiche violente e audacemente erotiche.
Questo “stile” da letteratura usa e getta non poteva non influenzare anche il cinema, il cinema di seconda mano, quello dei B-Movie, pane a buon mercato per gli affilati denti di Quentin Tarantino che risuscita il “genere”, negli anni ’90, ma per giubilarlo, riproponendolo in versione “canonica” con “Le Iene” e in un geniale farsesco smontaggio e rimontaggio in “Pulp Fiction”, dove il grottesco e l’ironia distruggono dall’interno la tipica anima pulp, terribilmente seria nella sua cruenta debordante violenza.
Il racconto pulp non poteva non incuriosire le culture dei paesi europei. E, da noi, ha trovato una sua versione nel cinema dei vari Fulci, Lenzi, Avallove, Bava, Di Leo, Castellari… sbiadendo nella commedia sboccata all’italiana rappresentata dai films della Fenech e di Lino Banfi.
E ha frequentato quel settore della letteratura illustrata popolare che va dalle novelle illustrate, ai fotoromanzi, ai fumetti. Perché c’è stato un genere di fumetto pulp italiano ricco di titoli prestigiosi e indimenticabili: Wampus, Oltretomba, Lucifera, Terror, Satanik, Corna vissute, Incubi, Ulula, etcetera,etcetera, il cui contenuto è troppo facile immaginare ma che è stato in qualche misura testimone di un certo (discutibile) gusto di casa nostra e ha avuto qualche merito nel dare campo libero alle prime esperienze di disegnatori giovani e ancora sconosciuti e successivamente accolti su più prestigiosi scenari.
Più da recente un’ interessante ripresa del “genere” è avvenuta in letteratura ad opera della “gioventù cannibale”, un gruppo di giovani scrittori presentati da Einaudi nel 1996: Ammaniti, Nove, Santacroce e compagni con i loro racconti estremi: ironici, truculenti, disturbanti, infarciti di tutti i luoghi comuni raccolti nelle pattumiere di tutti i media inj circolazione.
E con almeno un film abbastanza pulp: “L’ultimo capodanno” di Marco Risi (1998) basato su “L’ultimo capodanno dell’umanità” di Ammaniti e ottimamente raffazzonato alla maniera tarantiniana: gli episodi ad incastro, il grottesco, il volgare, il surreale, il farsesco esasperato fino alla conclusiva fine del mondo con l’esplosione del “comprensorio delle Isole”, com’era denominato il complesso condominiale abitato dai personaggi reinventati da Risi e governato dalla portiera Iva Zanicchi.
Ogni tanto il fiume carsico del pulp riappare, il “Grand Hotel ha cambiato grafica ma resiste, spunta anche qualche rivista splatter e ogni tanto Tarantino si rifà il verso da solo.
Ma Satanik, Kriminal, Zora, Zakimort, Messalina e tutta la stramba corte dei fumetti in libera uscita fra gli anni 60 e gli 80 sono diventati quasi introvabili, curiosa archeologia letteraria per collezionisti di modernariato .